lunedì 15 aprile 2013

Maqui una Pianta dalle Mille Risorse



I Polifenoli del Maqui
Il vero tesoro dell'isola di Robinson Crusoe

Il Tesoro dell'isola è lì, all'aria aperta e alla portata di tutti, in distese naturali e abbondanti. È una pianta, che cresce spontaneamente in questo Eden sperduto. Si chiama Maqui ed è un sempreverde caratterizzato da eleganti fiori bianchi e bacche di un intenso color blu, grandi anche quanto un'oliva.
Il nome scientifico è Aristotelica chilensis, in onore del filosofo greco Aristotele cui si fa risalire la catalogazione di piante di questo tipo.

Il nome risale ai
Mapuche, un'etnia indigena amerinda.
I Mapuche conoscevano le
valenze officinali del maqui e oltre al frutto ne usavano steli e foglie per lenire le irritazioni della gola e favorire la cicatrizzazione delle ferite. Dalla fermentazione del succo delle bacche traevano una bevanda alcolica, la chicha, ancor oggi apprezzata e diffusa sia in continente sia a Crusoe.
Una pianta dalle mille risorse
Il maqui si presenta come un grosso arbusto. Il
fusto, sottile ed elastico, può raggiungere anche i cinque metri di altezza. Le foglie sono ellittiche, con l'estremità appuntita.
Tra settembre e novembre (periodo di primavera nell'emisfero australe) fa sbocciare una serie di candidi
fiori bianchi che spiccano luminosi nel verde della foresta subantartica.
In estate, cioè da dicembre in poi, maturano le
bacche: tonde, piene, brillanti e gustosamente commestibili. Entro l'inizio di marzo verranno raccolte e consumate.
Le foglie, invece, vengono essiccate e adoperate per tisane e infusi dalle proprietà astringenti, analgesiche e antipiretiche.
Con le bacche, infine, si preparano dolci, marmellate, succhi di frutta e coloranti naturali.
Il caratteristico e intenso blu è dovuto alle
antocianine contenute nel frutto: si tratta di polifenoli che (tra le varie azioni) lo proteggono dall'eccessivo irraggiamento.
Il clima dell'area, unito all'incremento delle radiazioni solari (un aumento del 50 per cento negli ultimi trent'anni), ha portato la pianta a un graduale e progressivo sviluppo della produzione di questi pigmenti naturali, al punto che oggi il maqui è la bacca con il maggior contenuto di antociani in assoluto.
Raccolta impegnativa e attenta

Raccogliere le bacche di questo arbusto non è semplice come si potrebbe pensare: non è prevista alcuna produzione industriale, non esistono terrazzamenti coltivati a maqui. La raccolta si effettua esclusivamente in ambiente originario, sulle piante selvatiche. E viene fatta rigorosamente a
mano, intrufolandosi tra gli arbusti con attenzione per non spezzarli e staccando con delicatezza ogni singola bacca dal proprio rametto.
Una raccolta meccanizzata non è possibile: rischierebbe di distruggere il delicato habitat naturale, o rovinare la salute della pianta o compromettere l'integrità della bacca. La "vendemmia", pertanto, è un processo lungo, faticoso e paziente. Ecco perché le bacche di maqui sono un prodotto raro, pregiato e di spiccata
eccellenza.

Polifenoli in azione

Che il maqui faccia bene non lo impariamo solo dalle abitudini dei Mapuche, che ne facevano largo uso nei loro rimedi curativi. L'
indagine scientifica ci rivela chela bacca di maqui è ricchissima di polifenoli. Queste molecole organiche naturali sono in grado di interagire beneficamente con il nostro metabolismo.
Piccoli operai specializzati

I polifenoli sono molecole presenti ovunque nel regno vegetale e assolvono a svariati compiti. Le fitoalessine ad esempio hanno un'azione antifungina, per difendere la pianta da agenti patogeni; la lignina, interviene nella struttura meccanica della corteccia; le antocianine sono responsabili della pigmentazione e della colorazione vivace sia per attrarre gli impollinatori sia per filtrare le radiazioni solari; e via così.
Ma nell'organismo umano i polifenoli svolgono un'azione molto interessante sotto molti punti di vista.

Rappresentano la più recente frontiera nutrizionale: le loro proprietà sono sempre più studiate dalla scienza, al punto che oggi sono le molecole di origine naturale più indagate al mondo.

L'esposizione dell'uomo ai polifenoli durante la sua storia evolutiva ha determinato il fatto che molti fenoli o polifenoli abbiano
un'azione fisiologica nell'organismo.
Ed è possibile che siano molti di più di quelli a oggi noti. È un campo molto recente dell'indagine scientifica.

I polifenoli sono in grado di modulare l'infiammazione cellulare.
Quando parliamo di "infiammazione", si pensa al mal di gola, o a una situazione di disagio che si esplica in vari modi, dal dolore al rigonfiamento, dall'arrossamento al bruciore. Ma l'
infiammazione cellulare è un concetto diverso e più ampio. Non si concretizza a breve termine a danno di un particolare arto o organo,non è di per sé una malattia (se mantenuta sotto controllo); non dà alcun dolore e si esplica molto più in profondità, nelle cellule che compongono ogni tessuto. Queste cellule hanno un loro stato biochimico. L'infiammazione cellulare è l'alterazione di questo stato naturale ed entro una certa misura è il modo assolutamente fisiologico con cui l'organismo risponde a uno shock esterno (microbi,lesioni...). In altre parole, è necessaria per attivare la risposta immunitaria.
Pertanto l'infiammazione cellulare è un fenomeno naturale. Una preziosa alleata che, però, può trasformarsi in una terribile vendicatrice se la esacerbiamo con comportamenti sbagliati. Uno stile di vita eccessivo e stressato o un'alimentazione sregolata e squilibrata possono portare i livelli di infiammazione cellulare ben oltre i limiti fisiologici sufficienti all'organismo, con il risultato di destabilizzare pesantemente l'equilibrio chimico delle cellule.
Anche qui, non si deve parlare di malattia: la persona è sana, anche se i suoi parametri sono alterati. Ma un'alterazione rilevante non è da sottovalutare, anche se il soggetto sta bene: nelle cellule si scatena il caos, con reazioni chimiche che, anziché interagire, si contrastano.
Il tutto - ed è questo il pericolo - in modo silente: mentre si combatte questa guerra, il soggetto gode (meglio: crede di godere) di ottima salute. Ma un'infiammazione cellulare eccessiva e protratta per anni, può diminuire la funzionalità di diversi organi e, nel tempo, deteriorarla.
Come correre ai ripari? Molte delle proteine interessate nell'infiammazione cellulare attingono al
patrimonio genetico, cioè sono prodotte secondo "istruzioni"scritte nel DNA e che non si possono stravolgere. Si può, però, intervenire sul modo in cui queste informazioni sono lette ed espresse: non si possono cambiare i geni ma, appunto, la loro espressione, dal momento che viene facilmente influenzata da alcuni elementi nutrizionali(e dallo stile di vita).
L'incidenza dell'alimentazione sull'infiammazione cellulare è nota: alcuni fattori (grassi saturi,carichi glicemici eccessivi) favoriscono l'espressione di geni proinfiammatori; altre sostanze (acidi grassi omega-3, polifenoli) sono in grado di diminuire l'espressione che i geni codificano per le proteine proinfiammatorie.
E non si pensi che ci vogliano anni: ricerche preliminari sembrano mostrare che la capacità dei polifenoli di modulare l'infiammazione cellulare è (quasi) immediata e si esprime sulla scala delle ore: pasto dopo pasto, istante per istante. Ciò che si diventerà tra dieci anni è il risultato di ogni scelta di ciascun momento.

La scienza spiega come i polifenoli agiscono nell'organismo

Non sostiene che il maqui sia la pianta in grado di garantire ogni guarigione. In effetti i polifenoli si trovano nel maqui, ma anche in molti frutti comuni. Ribes, mirtilli, fragole, lamponi e more sono ricchi di
antocianine (un gruppo di polifenoli).
Ma, tra le bacche, il nostro maqui è il frutto con la maggior concentrazione di antociani. Queste preziose molecole, a loro volta, si dividono in diversi sottogruppi, a seconda della loro struttura chimica.
Senza entrare nello specifico, ci basta sapere che tra le più diffuse figurano la cianidina, la petunidina, la malvidina, la peonidina e la delfinidina. Ogni bacca ne contiene diverse associate insieme.
Tra i vari sottogruppi, quello delle
delfinidine sembra possedere una potenza maggiore.
Ebbene, anche qui il maqui riveste un ruolo di eccellenza, poiché tra tutte le bacche è quello più ricco in assoluto di delfinidina; negli estratti ottenuti dalla bacca, costituisce il 70 per cento sul totale degli antociani presenti. Una peculiarità unica, che non si riscontra in alcun altro frutto di bosco.
Nei fatti, mettendo in ordine i vari "berry" (come vengono chiamati i frutti di bosco in inglese) per capacità antiossidante, il maqui ha sicuramente il ruolo del re.
La capacità antiossidante viene di solito espressa con il valore ORAC (
Oxygen Radicals AbsorbanceCapacity, ossia "Capacità di Assorbimento dei Radicali dell'Ossigeno").
Più elevata è l'attività antiossidante, più è elevato il valore ORAC.
E seppure esso rappresenti solo una simulazione in laboratorio del valore antiossidante di un alimento, i numeri a carico del maqui sono sicuramente piuttosto impressionanti.

 
 

Un Pieno di Energia
Ma i nostri polifenoli si sono dimostrati utilissimi anche in un campo totalmente differente.
Come ogni macchina, il nostro corpo ha bisogno di "carburante" per funzionare e svolgere ogni processo vitale. Il "pieno" lo facciamo a tavola. I nutrienti permettono di produrre una molecola che si chiama
adenosina trifosfato (ATP). In questo processo di produzione interviene un'altra molecola, l'adenosina monofosfato (AMP). Dalla continua interazione di una serie di reazioni metaboliche tra ATP e AMP, l'organismo trae l'energia che gli serve.
All'interno della cellula, ATP e AMP sono presenti entrambi, a disposizione appunto per il lavoro metabolico. Ma il loro rapporto non è sempre costante e, se il bilancio è alterato, la nostra macchina soffre.
Per fortuna la cellula è dotata di una spia d'emergenza che segnala la riserva. Si chiama
AMPChinasi (AMPK) ed è un enzima programmato proprio per vigilare sulle riserve energetiche. È il "sensore energetico" della cellula: legge i livelli di AMP presenti nella cellula e, quando sono bassi, lancia l'allarme per ripristinarli.
L'attivazione dell'AMPK promuove la formazione di nuovi mitocondri, facilita lo sviluppo di energia dai grassi (ossidazione), riduce la sintesi del colesterolo,migliora il flusso sanguigno. Funzioni importantissime, al punto che l'AMPK è definito anche "
enzima della vita".
Se c'è un metabolismo efficiente dell'AMPK c'è energia,cioè uno stato di buon funzionamento generale (non a caso uno dei modi per attivarlo è proprio fare esercizio fisico).
Purtroppo, però, alcuni fattori possono interferire sul prezioso lavoro di questo enzima: l'invecchiamento, il diabete, una programmazione meno efficiente dei geni possono limitare l'attività dell'AMPK e, di conseguenza, ridurre il potenziale dell'energia a disposizione.
Per restare nel nostro esempio motoristico, è come avere una benzina povera di ottani.
La Ricerca suggerisce che i polifenoli sono in grado di
attivare l'AMPK: aiutano la cellula a conseguire uno stato energetico ottimale, stato che varie cause possono contribuire ad alterare. Tutto ciò ha importanti implicazioni sul funzionamento del nostro organismo.

La parola alla scienza

Scendiamo nel dettaglio insieme a due esperti di grande autorevolezza internazionale. Il
professor Giovanni Scapagnini - medico neuroscienziato esperto dei meccanismi biologici legati all'invecchiamento, soprattutto cerebrale. E al dottor Barry Sears - biochimico americano che ha messo a punto un regime nutrizionale, la Dieta Zona, noto il tutto il mondo.


Intervista al Prof. Giovanni Scapagnini

Il professor Giovanni Scapagnini, medico e neuroscienziato, è docente di Biochimica Clinica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise e membro del Direttivo della Società Italiana di Nutraceutica. Ha lavorato per quattro anni all'Institute of HumanVirology di Baltimora (Maryland, Usa) fondata dal celebre Robert Gallo, con il quale Scapagnini si è occupato della sperimentazione dei polifenoli estratti dal te verde. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche internazionali e di diversi libri divulgativi. Tra i temi più approfonditi in carriera figurano i polifenoli antiossidanti e i meccanismi molecolari della resistenza cellulare allo stress; il sistema dell'eme ossigenasi (un enzima) e la sua funzione nella risposta cellulare allo stress;i meccanismi di regolazione nell'invecchiamento dei tessuti e nei disordini degenerativi; lo studio di geni coinvolti nei meccanismi di sopravvivenza cellulare.
In difesa delle cellule
«I polifenoli sono molecole chimiche che rappresentano il sistema immunitario delle piante.
Sono sostanze esterne che noi non siamo in grado di produrre e che, però, normalmente acquisiamo».
I polifenoli hanno la capacità di attivare particolari risorse all'interno della cellula. Può spiegarci questo fenomeno?
«La maggior parte di queste sostanze è in grado di interferire a più livelli sul sistema dei segnali cellulari. In un'ottica salutistica, e con diverse specifiche, queste sostanze sono in grado di innescare un meccanismo antinfiammatorio generale, con ricadute positive importanti sul sistema biologico della cellula e, più in generale, sull'organismo in toto».
Pertanto, definire i polifenoli "antiossidanti" è riduttivo.
«I polifenoli sono tendenzialmente antiossidanti "in vitro". Poi, quando te li metti in bocca, diventano vere e proprie molecole attive, in grado di accendere nella cellula la risposta biogenerante. Questo è un concetto molto diverso: premono proprio l'interruttore che dice alla cellula: "Inizia a produrre sostanze antiossidanti, che è il momento di difendersi!". E questo fa sì che la cellula diventi una "supercellula". È un segnale di "sopravvivenza cellulare". Molto, molto efficace».

Inviolabile supercellula
L'ormesi è quel fenomeno per cui l'organismo,riconoscendo i polifenoli come una sostanza "esterna", attiva una risposta che porta la cellula a esprimere al massimo il suo potenziale biologico, attivando risorse straordinarie fino a quel momento latenti e trasformando la cellula in una supercellula, più resistente a qualsiasi tipo di stress esterno.
 
È questo processo che si definisce "ormesi"?
«In qualche modo sì. L'ormesi è un adattamento a uno stimolo. In questo caso lo stimolo è indotto dai polifenoli. Facciamo un esempio: quando prendiamo il sole, esponiamo le cellule ai raggi UV. Esse attivano un meccanismo di difesa, poiché l'irraggiamento è un fattore fortemente stressante.
Con i polifenoli, invece, l'adattamento avviene senza che ci sia una condizione negativa a monte. C'è una situazione adattiva che avviene - nel tempo - nel nostro sistema, a prescindere dagli stress. Questo è estremamente interessante in contesti in cui si producono molti radicali liberi, come ad esempio durante l'attività sportiva».

Si dice che i polifenoli siano efficaci contro l'invecchiamento.
«L'invecchiamento è un processo fisiologico inevitabile. I polifenoli sono considerati "antinvecchiamento", perché riducono l'infiammazione cronica e aumentano le capacità ossidative della cellula e in qualche modo ti "ringiovaniscono", nel senso che agiscono sulle degenerazioni legate all'invecchiamento. Servono per aiutare le cellule ad adattarsi a tutti gli stress quotidiani; rappresentano un "allenamento", un "additivo" che migliora - e di molto - la capacità di adattamento delle cellule. Questo è il segreto dei polifenoli».

In che modo i polifenoli dialogano con i geni?
«La singola cellula è esposta a danni che coinvolgono il DNA. Il danno è una mutazione che non si trasmette alla prole, ma danneggia l'organismo. I polifenoli attivano i meccanismi di riparazione al massimo livello, attraverso quegli interruttori che abbiamo visto (l'Nrf2, che è il più importante, e le sirtuine). Le sirtuine si attivano con la restrizione calorica, con la diminuzione delle calorie. Quando tu induci le sirtuine, aumenti la longevità della cellula; e non perché la cellula diventa geneticamente meglio predisposta, ma perché si tara nuovamente, diventa perfetta, non è più attaccabile e quindi non si danneggia ed è al massimo della sua espressione. E questo assicura longevità».
Intervista al Dott. Barry Sears
Il dottor Barry Sears è un biochimico statunitense, che ha studiato a lungo le risposte chimiche ai nutrienti, nel tentativo di trovare una soluzione nutrizionale per i diabetici. Convinto che si debba parlare di ormoni e non di calorie, ha studiato un metodo alimentare che mira al mantenimento di un livello di glicemia stabile nel sangue e un bilanciamento ormonale. La sua Dieta Zona cerca di tenere la produzione di insulina in una "zona" né troppo alta né troppo bassa ed è basata sui concetti di "equilibrio" e "moderazione" degli alimenti (assunti secondo una distribuzione di macronutrienti basati sul 40 per cento di carboidrati, 30% di proteine e 30% di grassi), nonché su una adeguata attività fisica e sul controllo quotidiano dello stress. Ha sempre fornito molti studi e ricerche scientifiche a supporto delle sue teorie, oltre ad aver firmato libri divulgativi che hanno fatto conoscere"la Zona" in tutto il mondo. È membro del MIT e presidente della Research Inflammation Foundation.
Lei ha descritto il fenomeno dell'infiammazione cellulare affermando che - oltre alla genetica all' esercizio fisico, ecc. - anche l'alimentazione ha un ruolo molto importante in questo fenomeno. Quali sono le particolari caratteristiche dei polifenoli in questo contesto?
«L'infiammazione cellulare può essere definita come una costante attivazione di un interruttore genetico che si chiama NF-kB, che influisce sui geni infiammatori nel DNA della cellula. Gli acidi grassi omega-3 e i polifenoli sono in grado di limitare l'attività di questo interruttore, con la conseguenza di ridurre così i livelli di infiammazione cellulare. Tradotto in pratica tangibile, significa meno malattie croniche e una migliore qualità di vita».
Abbiamo sentito palare di un coinvolgimento dei polifenoli nel regolare lo "stato energetico dell'organismo", influenzando il cosiddetto "enzima della vita". Ci può meglio spiegare questo concetto?
«C'è un enzima molto importante, che si chiama AMP Chinasi (AMPK) ed è il sensore di energia della cellula. I polifenoli sono in grado di attivare questo enzima, che è responsabile di tutti i processi metabolici all'interno della cellula e che si accerta che tutto funzioni come deve».
Nell'approfondire le caratteristiche dei polifenoli la sua attenzione si è focalizzata in particolar modo sul maqui. Ci può spiegare per quale ragione? «Ci sono più di 4.000 polifenoli noti. Una sottoclasse è data dalle delfinidine. Dagli studi, sembra che queste abbiano la migliore capacità, tra tutti i polifenoli, di agire sul NF-kB e di attivare l'AMPK. La fonte più ricca di delfinidine è la bacca del maqui. Ecco perché la sto studiando a fondo».
Premesso che non abbiamo il maqui sulle nostre tavole, volendo assumere un estratto/prodotto che ne conservi al meglio le caratteristiche, su quali fattori dovremmo porre attenzione? «Il criterio più importante è dato dalla concentrazione di polifenoli. Faccio un esempio un po' forzato, che però rende l'idea. Il vino rosso contiene delfinidine; per ottenere gli stessi livelli di delfinidine che si trovano in una capsula di estratto purificato di maqui, si dovrebbe bere circa 500 bicchieri di vino rosso. È una forzatura, sia chiaro: se uno beve tutto quel vino, muore intossicato dall'alcol. Ma ci serve a capire l'importanza della concentrazione».
Quanto contano i geni nel determinare quello che siamo e quanto contano i nostri comportamenti? Il nostro destino è segnato alla nascita o può essere modificato? Ritiene che i polifenoli siano importanti in questo contesto?
«I geni con cui siamo nati non si possono cambiare. Si può però intervenire sulla loro espressione; questo è vero in particolar modo per i geni infiammatori che alla lunga favoriscono il processo di invecchiamento e l'insorgenza di malattie croniche. Il modo più semplice, e anche il più efficace, di agire sull'espressione dei geni è dato dalla dieta: sappiamo che adeguati livelli di acidi grassi omega-3 e di polifenoli sono i principali strumenti per riprendere il controllo del nostro futuro genetico».






foto:web


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