IL
DONO DELLA BENEDIZIONE GREGG BRADEN
Uno dei più grandi doni che ci siano
stati tramandati dalla tradizione degli antichi Esseni è un codice verbale che
ci dà l’opportunità di affrontare con grazia le esperienze di vita che ci
feriscono più profondamente.
Questo codice relativamente oscuro nei
tempi antichi e spesso discusso forse senza essere compreso nei tempi moderni è
conosciuto come il DONO DELLA BENEDIZIONE. Attraverso il dono della benedizione
ci viene chiesto di ammettere la possibilità che ogni evento che si svolge nel
nostro mondo nelle nostre vite e alla nostra presenza abbia preso origine
senza eccezioni, da una singola fonte di tutto ciò che
esiste. Ci viene chiesto di ammettere la possibilità che esista una fonte
di tutto ciò che è conoscibile durante l’esistenza umana e che, in quella
prospettiva, qualunque evento accada, sia esso gioioso o doloroso,
deve essere visto come parte dell’Uno, come parte del tutto di quella Fonte di
tutto ciò che esiste.
Nel momento in cui benediciamo un evento
che ha ferito, o una persona che ci ha causato dolore o sofferenza affermiamo
la natura divina o sacra di ciò che è accaduto, che è divina e sacra
proprio perché esiste in virtù dell’Uno e come parte di esso.
La benedizione è forse in assoluto uno
dei più potenti codici vibratori che ci siano stati tramandati e
raramente ci è stato mostrato come applicarlo. Il dono della benedizione
rappresenta per noi l’opportunità di sbarazzarci delle cariche contenute nei
nostri organismi e di procedere con le nostre vite.
La benedizione può essere definita come
una qualità di pensiero, sentimento ed emozione. Ci permette di
riconoscere la natura santa, sacra e divina di qualunque evento sia occorso e
non indica accettazione, consenso o condono di una qualunque
azione, semplicemente riconosce la natura divina dell’evento e vi
permette di procedere in avanti con la vita.
Se c’è una fonte di tutto ciò che
esiste, allora, senza eccezioni, tutto ciò di cui noi siamo testimoni nella
vita deve appartenere a quella fonte, deve avere una natura sacra e
divina. Quando benediciamo quello che ci ha fatto molto soffrire,
affermiamo la sua natura santa e sacra, nient’altro.
C’è qualcosa di magico che accade quando
lo facciamo. Spiegare a parole forse qui non serve: è un’esperienza che
si deve fare personalmente per riuscire a capire il ruolo della benedizione
nella nostra vita.
Durante questa parte del
seminario, la gente spesso mi chiede: “Tu vuoi che noi benediciamo qualcosa?
Chi siamo noi per benedire? Credevamo che solo le persone sante potessero
farlo!”
Io rispondo loro: “Se non voi, chi
altri? Chi potrebbe essere più santo di voi? Chi potrebbe essere più sacro
di voi? Voi che vi siete avventurati così lontano, alla presenza
gli uni degli altri, nell’esperienza della creazione, voi che siete venuti su
questo mondo per fare da testimoni gli uni agli altri ed a voi
stessi? Quale atto potrebbe essere più santo di questo? Se non
siete voi le persone che possono benedire un evento, allora chi può farlo?”
Dunque
cos’è questa benedizione?
Cosa affermiamo quando benediciamo qualcosa? Abbiamo l’opportunità,
quando siamo testimoni di qualcosa che ci ha ferito nella vita – e uso
degli esempi che abbiamo già visto e forse anche altri che non abbiamo ancora
visto – cosa succede se voi benedite ciò
che vi ha profondamente ferito?
Immaginate che persona potente
bisogna essere per fare questo! Si tratta di guardare direttamente in faccia le
cose che vi hanno causato la sofferenza più profonda, che vi hanno
portato nelle oscure profondità delle vostre vite e di dire: “Io benedico
questa cosa!” Con quella benedizione state solo dicendo che ciò che è accaduto
è sacro, divino, santo, che fa parte dell’Uno anche se non capite che posto ha
nell’insieme e nel fare questo c’è un senso di liberazione, anche se
questo può non succedere la prima volta.
Quando qualcosa ci ferisce nella
vita di solito vanno presi in considerazione due o tre aspetti: l’origine
della ferita, l’urgenza della ferita e talvolta anche il testimone della
ferita.
Per esempio il massacro in Ruanda, come
lo si può affrontare?
Non si riesce neanche ad
immaginare 10.000 esseri umani massacrati dai propri concittadini, mentre
giacciono morti e nudi lungo le strade di campagna del Ruanda! Come
gestiamo una cosa del genere?
Possiamo razionalizzarla qui nella
testa, mentre qui, nel cuore resta qualcosa che fa male. Cosa succede se,
pensando ai soldati che hanno preso le vite di quelle persone diciamo:
“Siano benedetti quei soldati!”. Non si stanno affatto condonando le loro
azioni, non si sta esprimendo accordo sull’accaduto, si sta solo
riconoscendo che fanno parte dell’Uno.
“Siano benedetti i soldati che hanno
prese quelle vite, siano benedetti coloro che hanno dato la vita, siamo
benedetti noi che ne siamo stati testimoni!”
Sapete che potenza è necessaria ad
un essere umano per fare questo? Non state acconsentendo al fatto che il gesto
si ripeta, state solo rimuovendo la
carica dal vostro corpo. Riuscite a sentirlo anche in questo momento?
Se noi giriamo le spalle a quelli che ci
sono apparsi come gli orrori di questo mondo e ci voltiamo e semplicemente li
ignoriamo, non è così che possiamo trovare il nostro potere, i nostri più alti
livelli di maestria li troveremo nell’essere testimoni di ciò che ci ha
offerto la vita e nel ridefinire il significato di quegli eventi. Gli
antichi ci hanno offerto un contesto per farlo.
Se ne ridefiniamo il significato e
riusciamo a liberarci, allora possiamo andare avanti nella nostra vita.
Quello di cui stiamo parlando non ha
nulla a che fare con il compiacimento e non riguarda un’azione che nasce
dalla rabbia o dalla vendetta, riguarda piuttosto un’azione che
scaturisce da un punto della nostra emotività che ha acquisito potere.
La gente a volte mi domanda: ”Che
succede se non riferiamo nessuna applicazione per questa legge o se non
troviamo nessun riscontro nella nostra vita? Ed io chiedo loro: avete
forse altra scelta?
Avete due opzioni: o attraversate la
vita trovando un modo per riconciliare ciò che essa vi offre, oppure
l’attraversate considerando una serie di sfide piene di
conseguenze. Quindi vi incoraggio ad invitare nella vostra vita quella
grande forma di guarigione che è il dono della benedizione e se riuscite a
capire il significato che ha per voi, preparate i fazzoletti di carta!
Le lacrime non rappresentano
necessariamente la tristezza, le lacrime sono anche un modo in cui il nostro
fisico risponde alla rimozione della carica, trovando un nuovo equilibrio,
equilibrio che giunge proprio nei momenti in cui meno ce lo aspettiamo.
Nell’arco dei secoli, gli antichi popoli
indigeni ci hanno rammentato il potere del pensiero e il ruolo che quel potere
può avere nella nostra esistenza.
La gente del Nuovo Messico del Nord
racconta una storia particolarmente significativa sui propri antenati, sul
potere del pensiero e su questa montagna che vedete alle mie spalle. Nel
tardo ‘800 un gruppo di cacciatori passava per questi luoghi che
fungevano da pascoli per grossi branchi di alci, bufali ed antilopi ed alla
fine dell’autunno, proprio mentre uomini, donne e bambini stavano attraversando
la zona di caccia della montagna una prematura tempesta invernale li colse di
sorpresa.
Non c’era cibo perché gli animali non ce
l’avevano fatta ad arrivare in quella zona di pascolo, quindi ben presto
i membri della tribù si resero conto che, se volevano sopravvivere, qualcuno
sarebbe dovuto restare mentre altri avrebbero dovuto proseguire. Tutti
decisero che per il bene dell’intera tribù le donne sarebbero restate e gli
uomini avrebbero proseguito, avrebbero montato gli accampamenti ed in primavera
sarebbero tornati, il prima possibile, a riprendere chi era rimasto indietro.
Purtroppo un insieme di
circostanze e molti altri fattori fecero sì che gli uomini della tribù non
potessero tornare per ben due anni. Quando gli uomini si accinsero
a ripartire per il luogo in cui speravano di ritrovare fra i superstiti
le persone che amavano e che avevano dovuto lasciare, decisero che
avrebbero svolto tutti insieme una cerimonia di ringraziamento per rendere
onore ai doni che quella gente aveva concesso alla tribù restando
indietro. Al loro arrivo scoprirono con gioia e sorpresa che non solo
l’intero gruppo di donne era sopravvissuto, ma che, durante i due anni trascorsi,
alcune di esse avevano concepito un figlio senza che il seme maschile avesse
contribuito all’evento.
Inizialmente questo fu un mistero
per la tribù, perciò pregarono per ricevere un sogno di gruppo.
Il sogno venne e mostrò alla tribù che
era stato il potere del pensiero a permettere alle cellule delle donne
che lo desideravano di concepire la vita.
Recenti ricerche hanno dimostrato che
questa vecchia storia che si raccontava 150 anni fa può contenere ben più di
quanto sembri. In condizioni di laboratori, degli ovuli femminili sono
stati toccati meccanicamente in modo da mettere nelle cellule la
convinzione che fosse occorso il concepimento e, con quella convinzione, le
cellule hanno cominciato a dividersi. Il concepimento può veramente
avvenire senza l’intervento del seme maschile.
E’ possibile che il potere del nostro
pensiero sia così grande da permetterci perfino di dare origine alla vita
nell’organismo umano?
* * *
Tratto
dalla trascrizione della videoconferenza "Camminare tra
i mondi"
immagine dal web
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